Il nome della cosa

guarda Guarda il cielo. Il culo. Il cielo. Il culo.

Chinai la testa perché Umberto Eco aveva sentenziato la verità: i social danno il diritto di parola a legioni di imbecilli. Io mi sono commosso. Ma non commosso come quando mi fu ordinato di leggere “Il nome della rosa” in quarta di Liceo; mi sono commosso come quando ho trovato il bignami in Comic Sans de “Il nome della rosa” in quarta di Liceo.

Forse saranno stati i tifosi del Pescara e il loro affetto verso la nazionale islandese che Dio non ha saputo contenere, oppure Di Battista oppure chi condivide link di “Catena Umana”. Per i marò. I macaron. I Modà. Di Battista.

Gli imbecilli però, si sa, nascono in seno alla noia, all’individualismo e alla misantropia. Che più meno è lo stesso modo con cui nascono i geni assoluti, togliendo giusto qua e là qualche punto esclamativo di troppo e qualche eccessivo luogo comune su politica e cuccioli di Beagle. L’unico grande peccato sta nella concezione di sé: che i geni pensano di essere degli imbecilli e gli imbecilli, invece, dei geni. Che peccato.

Non ci resta che un meme e non ci resta che piangere.

“Se sarà la noia ad ucciderci vorrei che non fosse la stessa che ha ammazzato quel povero Cristo a cui qualche sedicenne ha lanciato, ieri, sassi sul parabrezza, appostato sul cavalcavia, che fa tanto noioso divertimento demodé anni ’90” meditai.

“Se sarà la noia, non vorrei fosse in estate” meditai.

Una volta un tizio mi parlò del suo desiderio di avere “la botte piena e la moglie ubriaca” per ritrovarsi poi, però, con la cantina vuota e la suocera che vomitava sul divano. Che brutta festa di compleanno. Che brutta festa.

Sarà la noia, e chi lo sa? Rialzai il capo ad ammirare il cielo sereno ma tuonante oltre gli Appennini, fuori dalla finestra e lontano dallo realtà.

E’ tornata la Cristoforetti dopo il viaggio nello spazio: che culo.

Che cielo. Che culo. Che cielo.

articolo di Luca Marinangeli

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