Il salto nell’iperspazio

Agosto 2000. Anaheim, Los Angeles. California – USA.
Uno scenario apocalittico: deserto, creature mistiche aliene, edifici fantascientifici.
Sì, ero a Tatooine. Non avevo dubbi.
George Lucas non era poi così tanto geniale, aveva solo raccontato l’esistenza di una galassiaparallela. Altro che “a long time ago”. Era qui vicino, quasi dietro casa.
Ero lì, lo potevo vedere coi miei occhi da dodicenne invasato da tutto ciò che poteva definirsi nerd e stellare.
Salii sul Millenium Falcon verso l’ora di pranzo. Allacciai le cinture nel mentre la voce di Ian Solo mi confermava di prepararsi al salto nell’iperspazio.
I latrati di Chewbecca mi mettevano soggezione tanto quanto la sua peluria, ma non mi preoccupavo quasi più. Ero col sedere ben incollato alla poltrona dentro la navicella spaziale più disastrata e più veloce del mondo.
La concentrazione era alle stelle. Avevo voglia di andare a caccia di qualche incrociatore imperiale e, perché no, della Morte Nera.
Il countdown era alle porte: 3, 2, 1… Si va.
Lo schiacciamento che sentivo sul petto era un vortice di emozioni continuo.
L’adrenalina stava scorrendo nelle mie vene come un fiume in piena.
Stavo volando col Millenium Falcon!
I suoni, le immagini, il mio casco erano tutto ciò di cui avevo bisogno. Era tutto così perfetto.
Finalmente avevo anch’io la possibilità di volare tra una galassia e l’altra come Luke Skywalker…
Finalmente avrei potuto conoscere il Maestro Yoda e l’arte degli Jedi.
Non vedevo l’ora, ed eravamo appena decollati.
All’epoca i miei capelli erano praticamente rasati, un po’ come i veri giovani Padawan che potevo ammirare nei film della trilogia. Mi mancava il codino da una parte e una spada laser davvero mia, e non quella che mio padre costruì per farmi allenare.
Ne volevo una vera, una di quelle capaci di tagliare in due Darth Maul per vendicare il maestro Qui- Gon e di sconfiggere il male dei Sith.
La volevo verde, colore della saggezza, e con il pulsante rosso.
Ma soprattutto volevo scoprire i segreti degli Jedi, apprendere il potere dei buoni contro i malvagi.
Volevo avere l’opportunità di prendere gli oggetti con la forza del pensiero e di convincere i miei
interlocutori con qualche trucchetto mentale.
Oramai ero convinto. D’altronde ero in viaggio e non potevo tirarmi più indietro.
Eppure, tutto d’un tratto, il Falcon rallenta, viene colpito da una pioggia di asteroidi, e ripiega su un pianeta sperduto in una qualche galassia lontana.
Siamo costretti a scendere dalla navicella da una voce metallica e acre come la polvere che, una volta aperto il portellone, mi è arrivata dritta negli occhi.
Ero stordito, forse per la troppa luce del sole o forse perché, senza volerlo, avevo sognato ad occhi aperti di esser in un’altra realtà.
Una realtà che nel cinema adoravo e nella quale avrei vissuto volentieri tra una corsa di sgusci e il sorriso della principessa Padme.
Ma ci misi poco a rendermi conto che il sogno era finito già prima di iniziare.
Mi bastò vedere un ragazzone americano divorare un mega hamburger firmato rigorosamente con un M famosa per capire che a Tatooine non ci sono mai stato e che probabilmente mi sarei dovuto accontentare di quei venti minuti di gloria per tornare poi a godermi Disneyland e le sue attrattive californiane.

Articolo di Francesco Di Marco

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